Il fair value conviene?

Risale al 2010 la discussione tra i due maggiori standard setter a livello mondiale, FASB e IASB, riguardante l’opportunità di estendere l’utilizzo del fair value oltre che ai titoli detenuti per la vendita che vanno dunque, e giustamente, valutati al prezzo di dismissione, anche ai titoli da detenere fino a scadenza. Il principio che risiede alla base del fair value è la prinipale alternativa che si possiede oggi se si vuol abbandonare il metodo del costo storico, il primo infatti prevede che un asset detenuto da una società venga valutato ad un preciso valore di mercato, il secondo, invece, prevede la valutazione in relazione al costo sostenuto al momento dell’acquisizione, eliminando quindi ogni possibilità di un maggiore guadagno determinato dai cambiamenti che il mercato ha subito nel frattempo.

Vantaggi e svantaggi

Tale discussione, importante allora come oggi, ha evidenziato elementi di cui oggi non possiamo fare a meno per due principali ragioni. Per prima cosa essa si inserisce nel dibattito sull’identificazione di sistemi finanziari universalmente riconosciuti in grado, in tal senso, di fornire ad investitori e analisti un’immagine coerente dell’ambito economico, finanziario e patrimoniale delle società facenti parte dei mercati dei capitali. Naturalmente tutto ciò determina altri problemi che riguardano, nello specifico, su quando e come il fair value vada utilizzato affinché ogni scelta risulti appropriata e coerente.

In secondo luogo, la crescente crisi che dal 2008 ad oggi stiamo vivendo ha messo in luce potenziali controindicazioni nel suo utilizzo. In presenza di mercati poco ‘’liquidi’’ risulta quasi impossibile determinare il valore di un immobile a meno che non sia molto basso al punto tale di non incorporarne nemmeno le potenzialità in termini di flussi di cassa. Il fair value si è dimostrato una metodologia pro-ciclica: in presenza di una congiuntura economica sfavorevole ha peggiorato la rappresentazione dei risultati economici degli operatori finanziari che detenevano un’elevata quantità di titoli il cui valore è crollato fin dai primi mesi di crisi. Le normative che si sono succedute negli anni hanno esaltato questo effetti, penalizzando spesso più del dovuto le imprese colpite dalla diminuzione del valore degli asset, creando delle difficoltà ulteriori e difficili da arginare.

Tuttavia il fair value non va considerato solo sotto una cattiva luce ma è necessario analizzare l’utilità del suo utilizzo con vantaggi e svantaggi, indipendentemente dall’attuale contesto finanziario. Un principio contabile, per funzionare, dovrebbe favorire l’esercizio, da parte degli investitori, dei diritti informativi attraverso la possibilità di conoscere quante più informazioni possibili sulla società in cui si sta investendo ed anche i diritti relativi alla valutazione della capacità del management di massimizzare il valore della società.

Fair value e metodo del costo storico

Rispetto al metodo del costo storico di cui parlavo precedentemente il fair value presenza vantaggi di natura informativa poiché le informazioni che permette di trasmettere al mercato sono relative all’effettivo valore degli asset che la società detiene. Si tratta però di un valore relativo poiché non indica quanto varrebbe l’azienda se decidesse di uscire dal business o quanto denaro potrà essere generato dagli asset. Fornendo a chi investe un’indicazione che riguarda il rapporto costo-opportunità dell’investimento ma anche la rischiosità dello stesso, ad un basso fair value, infatti, corrisponde un maggiore rischio poiché in caso di insuccesso il ‘’valore sostitutivo’’ risulterebbe basso.

Il fair value presenta lacune anche per quanto riguarda il diritto di ‘’stewardship’’, non vi sono infatti incentivi sufficienti a impedire che i manager determinino valori di riferimento maggiori rispetto a quelli reali per dare una migliore immagine di sé. Il criterio di valutazione, inoltre, non trasmette info sulla capacità di creare flussi di cassa nel futuro, anche se può sembrare strano, infatti, verrebbero premiate le società che possiedono immobilizzazioni di valore mal utilizzate rispetto a società che riescono a creare valore per i propri azionisti.

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